Istituto Universitario Orientale

Missione Archeologica di Vivara

Progetto Vivara

 

Guida agli scavi

 La Missione Archeologica dell’Istituto Universitario Orientale dedica questa piccola Guida all’archeologo tedesco Giorgio Buchner, primo scopritore dei Micenei a Vivara

 Premessa

La realizzazione di questa pagina WEB sull’isola di Vivara e sugli scavi e le ricerche in corso sul suo territorio (interamente sottoposto a vincolo archeologico), promossi dall’Istituto Universitario Orientale di Napoli in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica e altre Istituzioni, ha il fine di dare le principali informazioni di carattere sia scientifico che pratico non solo a chi intenda "visitare" l’isola virtualmente, ma anche abbia intenzione di recarvisi durante i mesi nei quali l’équipe dell’Ateneo napoletano si trova a operare.

L’isola di Vivara

Vivara è la minore delle tre isole che formano oggi l’arcipelago flegreo. Essa è collegata con Procida per mezzo di un ponte.

Originariamente, e probabilmente ancora in età romana, Vivara era unita all’isola di Procida attraverso una striscia di sabbia che la congiungeva al promontorio di S. Margherita.

(accesso a Vivara da Procida)

L’isola di Vivara infatti non è altro che una porzione dell’originario cratere vulcanico delimitato da S. Margherita, dall’istmo in parte sommerso che univa Vivara a Procida e da Vivara stessa. Ciò spiega la sua tipica conformazione semicircolare.

(golfo di genito)

Vivara è stata fino al ’600 una sorta di riserva di caccia. Solo nel 1680 fu costruita sul pianoro sommitale una casa di caccia da parte di Don Giovanni di Guevara, Duca di Bovino.

(casa di caccia del duca di Bovino)

È a cominciare da quest’epoca che inizia lo sfruttamento agricolo dell’isolotto e l’insediamento da parte dell’uomo, testimoniato anche alla costruzione di una serie di nuovi edifici colonici in parte legati alla casa padronale, in parte sparsi sulla superficie dell’isola.

(torre di segnalazione borbonica)

All’opera di due architetti inglesi dell’inizio del secolo è da riferire la costruzione di un edificio a pianta semicircolare (cosiddetto "Tavola del Re") posto al limite sud del pianoro sommitale, originariamente pensato come abitazione e belvedere affacciantesi sul versante che guarda verso l’isola di Capri.

Dopo il passaggio, nel 1818, della proprietà dell’isola dalla corona borbonica al comune di Procida, Vivara fu prima ceduta in enfiteusi alla famiglia Scotti, successivamente (1868) fu da questa riscattata. È durante questi decenni che Vivara diventa anche presidio francese e vede sulla punta sud, detta di Mezzogiorno, e in prossimità della punta nord, detta del Capitello, la costruzione di postazioni militari tutt’oggi visitabili.

Nel 1870 la proprietà dell’isola passa alla famiglia Scotto la Chianca, la quale, estintasi nel 1940, la lascia in eredità all’Ospedale Albano Francescano di Procida.

Oggi l’isola, ancora di proprietà dell’Ente Albano Francescano, è passata, dopo alterne vicende, in fitto alla Regione Campania che ha il compito, attraverso l’Assessorato all’Agricoltura e Foreste di garantirne il rispetto quale oasi per la fauna e la flora mediterranea.

 

La storia più antica dell’isola e le ricerche archeologiche condotte fino al 1987

L’isola di Vivara, originariamente un promontorio dell’isola di Procida posto in posizione strategica, in età preistorica dominava e controllava, con i suoi 120 m. circa di altezza, contemporaneamente l’imbocco del Canale d’Ischia (e cioè il braccio di mare compreso fra il suo versante occidentale e la penisoletta ischitana dove sorge il Castello d’Aragona), quello del Canale di Procida e l’arrivo di qualsiasi imbarcazione che, doppiata la Punta Campanella, si affacciasse nel golfo di Napoli (come appare dalla carta qui di seguito).

 

L’isola, inoltre, offriva ai navigli la possibilità di alare e tirare in secco le imbarcazioni almeno in tre punti di approdo, sicuri in ogni condizione di tempo e di mare: a nord e a sud dell’istmo che la univa al promontorio di S. Margherita di Procida, all’origine ancora contornato da un’ampia fascia sabbiosa, e, a sud di S. Margherita, nel piccolo golfo della Chiaiolella, oggi sede di un porticciolo turistico. Tutti e tre gli approdi erano ben visibili e controllabili dalla sommità dell’isola.

(Vivara: in rosso i punti di approdo preistorici)

Verso la metà degli anni ’30 l’allora giovane archeologo tedesco Giorgio Buchner, laureando in paletnologia presso l’Università degli Studi di Roma, cominciò le prime prospezioni archeologiche e i primi saggi di scavo sull’isolotto al fine di raccogliere dati per la sua tesi di laurea sulla vita nelle isole flegree dalla preistoria all’età romana.

Le ricerche del Buchner arrivarono a stabilire che l’isola era stata intensamente abitata nell’età del Bronzo e che, tranne qualche limitata traccia di età romana nella zona della sua estrema punta settentronale (Punta Capitello), era rimasta disabitata fino alla costruzione nel 1680 della villa padronale sul suo pianoro.

Fra i reperti raccolti dal Buchner nel suo saggio di scavo su una delle terrazze naturali sovrastanti la Punta Capitello, oltre a un ricco repertorio di forme ceramiche attribuibili alla cultura appenninica classica (oggi definita, in termini di cronologia relativa, Bronzo Medio avanzato, fine del XV inizi del XIII sec. a.C.) e ad alcune tracce riferibili alla facies protoappenninica (Bronzo Medio iniziale), risultarono di particolare rilievo due frammenti subito identificati come provenienti dalle coeve culture egee e, segnatamente, dalla Grecia micenea. L’attribuzione di tali reperti al Tardo Elladico II/III li poneva d’altra parte fra le testimonianze più antiche relative alle navigazioni greco-micenee in Occidente. Negli stessi anni lo stesso Buchner rinveniva, tra i materiali attribuibili alla medesima facies dell’età del Bronzo provenienti da un originario insediamento posto sull’altura del Castiglione d’Ischia (lungo la costa fra Porto e Casamicciola), insieme a un ricco repertorio di ceramiche di tipo locale, altri tre frammenti di ceramica micenea databili fra il Tardo Elladico II/III e IIIA.

A questi limitati saggi di scavo, pur fruttuosi e rilevanti, soprattutto per il fatto di aver documentato contatti così antichi con l’ambiente egeo, non seguirono negli anni successivi ulteriori approfondimenti. L’area flegrea assunse infatti particolare importanza in rapporto alle testimonianze, messe in luce fra Lacco Ameno e San Montano, del più antico emporio greco precedente la fondazione della colonia nella prospiciente Cuma.

Solo nel 1975 A. Cazzella, M. Marazzi, M. Moscoloni e S. Tusa, dell’Università "La Sapienza" di Roma ripresero le ricerche sull’isola di Vivara sotto il patrocinio della Soprintendenza Archeologica di Napoli e cominciarono lo scavo regolare dei due nuclei insediamentali più rilevanti collocati sulle terrazze soprastanti la Punta Mezzogiorno a sud e la Punta d’Alaca a ovest.

Queste nuove ricerche, condotte attraverso campagne di scavo annuali ininterrottamente fino al 1982, confermarono e arricchirono i dati già messi in evidenza dai primi ritrovamenti del Buchner.

Esse chiarirono definitivamente che il più antico nucleo insediamentale sull’isola risaliva all’età di passaggio fra il Bronzo Antico e il Bronzo Medio italiano e si concentrava essenzialmente sulla punta meridionale dell’isola, detta di Mezzogiorno. Già nei livelli più antichi si rilevavano qui le tracce di un intenso contatto con il mondo basso tirrenico, caratterizzato in quest’epoca da un’altrettanto importante cultura marinara, detta di Capo Graziano, avente il suo centro nell’arcipelago eoliano.

Nei livelli di abitazione più recenti comparivano le prime tracce dei contatti con l’Egeo, rappresentate da numerosi reperti vascolari d’importazione sia di tipo fine che di tipo corrente. Questi, provenienti per la maggior parte dall’area peloponnesiaca, ma riferibili in alcuni casi anche alle fabbriche di Kytera e di ambiente cicladico, risultavano appartenere a quelle produzioni ceramiche tipiche del periodo di passaggio dal Meso al Tardo Elladico, età che vede la formazione in Grecia dei primi nuclei elitari, premessa allo sviluppo delle manifestazioni più complesse (i cosiddetti palazzi micenei) del XIV-XIII secolo a.C.

Alla Punta Mezzogiorno si rilevavano anche le prime tracce evidenti di un’attività legata alla lavorazione del bronzo, segno che Vivara (e l’arcipelago flegreo in genere) a quest’epoca doveva già rappresentare un punto nodale nella rete di scambi via mare che dal Tirreno centro-settentrionale arrivava fino alle Eolie, alle coste settentrionali, sud-orientali e centro-meridionali della Sicilia e, di qui, da un lato alle isole del canale di Sicilia, dall’altro alle coste dello Jonio fino al golfo di Taranto, punto di transito da e verso le coste epirote e, a sud, quelle della Messenia.

(le rotte di navigazione micenee)

Al nucleo insediamentale più arcaico di Punta Mezzogiorno si dovette affiancare, in una fase ancora antica, ma già pienamente sviluppata del Bronzo Medio (il cosiddetto Protoappenninico avanzato), quello individuato sull’alta terrazza dominante la punta occidentale dell’isola (Punta d’Alaca) e, di qui, l’accesso al Canale d’Ischia e a quel tratto di costa che va dal Castello d’Aragona al promontorio di Monte Vico. Contemporaneamente allo sviluppo insediamentale di Punta d’Alaca si deve porre anche il maggiore sviluppo di quello che doveva essere il nucleo principale dell’insediamento sull’isola e che doveva occupare l’intero pianoro sommitale. Questo, ormai irrimediabilmente perso anche a causa delle costruzioni qui messe in opera verso la fine del ‘600 e del conseguente sviluppo agricolo, è indirettamente attestato dalle sole discariche ricoprenti l’intero versante occidentale dell’isolotto.

Gli scavi alla Punta d’Alaca, condotti fra il ’75 e l’’82 parallelamente a quelli alla Punta Mezzogiorno, furono ripresi negli anni ’86-’87, in occasione della costituzione di un itinerario turistico sull’isolotto di Vivara. Essi hanno messo in luce quello che potremmo definire il momento di massimo sviluppo della cultura preistorica di Vivara. Anche se le superfici scavate sono state relativamente limitate, soprattutto a causa di un interro (sia moderno che antico) che raggiunge in alcuni punti i 3 metri di potenza, le strutture parzialmente messe in luce e i reperti recuperati sono stati d’importanza fondamentale.

 

Gli scavi a Vivara e le più antiche navigazioni micenee

Certamente il settore insediamentale scavato alla Punta d’Alaca doveva essere direttamente coinvolto nei processi di lavorazione del metallo (smelting del minerale di rame proveniente dall’Italia centro-settentrionale?), come fanno fede le numerose gocce e alcune scorie di fusione rinvenute praticamente in tutta l’area. Resti di strutture abitative di notevoli dimensioni di forma subrettangolare, associate a un tipo di ambiente circolare di limitata grandezza con evidente funzione di magazzino, hanno fatto giustamente pensare a una comunità in corso di rapido mutamento.

La quantità di reperti vascolari egei, con una preponderanza nei vani magazzino delle grandi giare, è risultata essere davvero notevole. Essi si inquadrano cronologicamente nel periodo di formazione della cultura greco-micenea (in termini di cronologia egea, fra il Tardo Elladico IIA e IIIA1, dalla metà del XVI fino a circa la metà del XV sec. a.C.).

Inoltre, l’individuazione di un complesso sistema di computo e di memorizzazione a mezzo di tokens fittili ha dimostrato l’insorgere in questa determinata situazione storica di forme di archiviazione e memorizzazione in un contesto privo dello strumento scrittura.

La caratterizzazione di Vivara quale punto di raccordo nel sistema delle vie di approvvigionamento del metallo, dai centri europei e mediterraneo-occidentali verso le aree centro-orientali del Mediterraneo, e, allo stesso tempo, quale meta delle più antiche navigazioni elladiche in Occidente, ha indotto a riconsiderare l’apertura dei "mercati acquisitivi" occidentali del metallo da parte dei centri tardo-mesoelladici e protomicenei quale una delle possibili concause del processo di stratificazione sociale in atto in Grecia in questa stessa epoca e del lento contemporaneo inserirsi della componente elladica nei circuiti economico-commerciali levanto-egei.

L’impulso dato dalle scoperte vivaresi effettuate fra il ’75 e l’’82 allo studio delle più antiche rotte elladiche in Occidente è stato perciò enorme. Anche sotto il profilo dello studio rivolto alla determinazione, durata e circolazione delle fabbriche ceramiche tardo-mesoelladiche e protomicenee fuori del continente greco, il "laboratorio Vivara" ha rappresentato un’occasione unica. Come si è, infatti, già ricordato, l’insediamento di Vivara, quale punto di arrivo di navigli egei operanti sulla lunga distanza, ha offerto un repertorio ceramico eccezionale per numero e qualità.

I nuovi scavi e il progetto "Vivara"

Proprio in virtù della rilevanza storica che gli scavi archeologici su Vivara hanno assunto per lo studio dei più antichi contatti marittimi fra mondo egeo e Mediterraneo occidentale, l’Istituto Universitario Orientale di Napoli, sulla base di una convenzione con la Soprintendenza Archeologica e in accordo con la Regione Campania, ha ripreso nel 1994 le ricerche sull’isolotto. Ai nuovi scavi partecipano gruppi di studenti provenienti dai tre Atenei napoletani (I.U.O., Federico II e Suor Orsola Benincasa).

Per garantire un’indagine globale, cooperano alla ricerca il Dipartimento di Ingegneria Chimica della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Roma "La Sapienza" per le analisi metallografiche, il Fitch Laboratory della British School di Atene per lo studio chimico-fisico delle ceramiche egee, il Ministero della Cultura greco per lo studio tipologico dei reperti d’importazione egei, il Laboratorio di Bioarcheologia del Museo d’Arte Orientale di Roma per le analisi archeobotaniche e archeofaunistiche. È inoltre attivo dal 1997 un accordo di convenzione con l’E.N.E.A. per lo sviluppo di un vasto progetto comprendente sia una serie di interventi volti alla conservazione e salvaguardia delle strutture abitative preistoriche messe in luce alla Punta d’Alaca, sia una campagna di analisi chimico-fisiche delle diverse classi di reperti provenienti dallo scavo.

Inoltre, dal 1996, l’Istituto Universitario Orientale partecipa attivamente a due progetti paralleli che affiancano le operazioni di scavo sull’isola di Vivara.

Il primo concerne l’attivazione, in convenzione fra l’Istituto Universitario Orientale e l’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa e in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica di Napoli, di un laboratorio/seminario dedicato allo studio e alla documentazione dei reperti archeologici provenienti dallo scavo di Vivara. Tale laboratorio, ubicato nei locali dell’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, permette agli studenti dei due Atenei di seguire attivamente tutte le fasi di ricerca post-scavo (disegno, restauro, analisi bioarcheologiche e metallografiche, sviluppo e interpretazione del rilievo etc.,).

Il secondo, condotto dal Servizio Tecnico per l’Archeologia Subacquea del Ministero dei Beni Culturali in collegamento con la Soprintendenza Archeologica di Napoli e in stretta collaborazione con l’équipe dell’Istituto Universitario Orientale che opera su Vivara, riguarda lo studio del bacino compreso fra Vivara e S. Margherita di Procida per una ricostruzione dell’originaria morfologia di quest’area e, di conseguenza, del sistema di porto-approdo legato all’insediamento dell’età del Bronzo. Le prime prospezioni subacquee sono cominciate nel Giugno del 1996 e hanno già individuato l’originario assetto dell’area interna al cratere di Vivara: una vasta spiaggia atta a ospitare i navigli dell’epoca, misuranti non più di una quindicina di metri di lunghezza, tirati in secco per le necessarie riparazioni prima di riprendere il mare per le lontane terre di Sicilia, Puglia, fino alle frastagliate coste del Peloponneso.

(Operazioni subacquee del servizio tecnico dello Stas)

(Operazioni subacquee sotto la supervisione dei Carabinieri)

 

Per quanto concerne gli scavi di terra, le nuove ricerche si sono concentrate sul deposito archeologico alla Punta d’Alaca e, più in particolare, su una nuova struttura abitativa a pianta rettangolare, già individuata nel 1987, di notevole importanza non solo per le dimensioni e per l’eccezionale stato di conservazione, ma anche per alcune caratteristiche costruttive. L’abitazione in oggetto, il crollo delle cui strutture portanti ha interamente "sigillato" il complesso degli arredi, è stata quasi completamente delimitata durante le campagne di scavo cominciate nel 1994. Parte della sua originaria copertura era composta da "tegole" ricavate dagli strati lamellari di tufo locale, mentre un vano circolare adiacente al suo lato lungo settentrionale fungeva certamente da annesso con funzione di magazzino per contenitori di grandi dimensioni. I resti frammentati di questi hanno permesso di accertarne in molti casi la provenienza: si tratta di giare di origine levanto-egea o di grandi vasi dipinti di fattura greco-micenea.

("Tegole" di tufo lamellare)

 

Non lontano da questo complesso era già stata individuata negli anni ‘80 una vasta struttura ipogeica di forma circolare, chiamata convenzionalmente "fossa alpha", solo parzialmente scavata. La ripresa delle ricerche in questo settore ha permesso di mettere in luce, al di sotto di uno spesso strato di resti organici carbonizzati, un precedente strato archeologico dal quale, verso la fine della campagna di scavi del 1996, i ricercatori hanno recuperato reperti di grande importanza. Si tratta di oggetti di prestigio provenienti in parte dalla Grecia (spilloni di bronzo, vaghi di una collana di pasta vitrea, frammenti di un originario contenitore metallico e un’applique in lamina d’oro finemente lavorata) la cui presenza indica che la struttura ipogeica deve aver avuto inizialmente una qualche funzione (funeraria, cultuale?) di particolare rilevanza. Le ricerche in quest’area sono ancora in corso di svolgimento e soltanto il loro progredire permetterà la formulazione di ipotesi attendibili.

(Applique in lamina d'oro proveniente dalla fossa a )

(Fossa a )

 

Guida bibliografica

 

Sulla storia di Procida e Vivara:

-M. Parascandolo, Procida dalle origini ai tempi nostri, Benevento 1893 (varie ristampe anastatiche).

-F. Ferraioli, Procida. Guida storico-artistica, Napoli 1951 (con successive ristampe).

-M. Barba, S. Di Liello, P. Rossi, Storia di Procida, Napoli 1994 (Ed. Electa).

  

Sugli scavi condotti a Vivara dal 1976 al 1982:

- AAVV , Vivara, centro commerciale mediterraneo dell’età del Bronzo, I: gli scavi dal 1976 al 1982, Roma 1991 (qui una bibliografia di tutte le pubblicazioni preliminari relative allo scavo edite dal 1976 fino al 1990 e una bibliografia di base sugli aspetti storici, geografici e geologici dell’isola).

Sugli scavi degli anni 1986-87:

- M. Marazzi-S. Tusa (a cura di), Relazione preliminare sui lavori nell’isola di Vivara negli anni 1986-87, Dialoghi di Archeologia 1991/1-2, p. 111ss.

Sugli scavi a cominciare dal 1994:

- C. Pepe (a cura di), Missione archeologica di Vivara: guida agli scavi 1997, Istituto Univ. Orientale, Napoli 1997 (con un’informazione bibliografica generale).

Resoconti e illustrazioni delle ricerche sono inoltre contenuti in: Archeo, Settembre 1995; Campania Felix, Settembre 1996; Campania Felix, Marzo 1997; Archeo, Luglio 1997; Archeo, Aprile 1998.

 

Recenti contributi e atti di congressi su argomenti specifici relativi alle ricerche condotte a Vivara e alle problematiche storiche con queste connesse:

- M. Marazzi, La più antica marineria micenea in Occidente: dossier sulle rotte commerciali nel Basso Tirreno fino al golfo di Napoli nei secoli XVI-XV a.C., Dialoghi di Archeologia 1988/1, p. 5ss.

- M. Marazzi, The Early Aegean-Mycenaean Presence in the Gulf of Naples: Past and Recent Discoveries, in: Wace and Blegen, Pottery as Evidence for Trade in the Aegean Bronze Age, Procc. Int. Conf. Athens 1989, Amsterdam 1993, p. 335ss.

- S. Tusa, The Bronze Age Settlement at Vivara (Naples): The Local Context, in: Wace and Blegen, Pottery as Evidence for Trade in the Aegean Bronze Age, Procc. Int. Conf. Athens 1989, Amsterdam 1993, p. 343ss.

- M. Marazzi-S. Tusa (edd.), Vivara, centro commerciale mediterraneo dell’età del Bronzo, II: le tracce dei contatti con il mondo egeo (scavi 1976-1982), Roma 1994.

- M. Marazzi, Tirreno e mondo egeo: sistemi grafici ed espedienti mnemotecnici, in: Atti e Memorie II Congr. Int. Micenologia, Roma-Napoli 1991, E. De Miro-L. Godart-A. Sacconi edd., Roma 1996, p. 1579ss.

- G. Boenzi, La disposizione areale dei manufatti di importazione nell’ambitodell’insediamento dell’età del Bronzo di Vivara- Punta Alaca, Diss. Fac. Lettere, Ist. Univ. Or. Napoli, 1996.

- C. Pepe-C. Giardino, The Island of Vivara: An International Port of Trade of Middle of II Millennium BC in a Volcanic Landscape, in: Tuffs Landscapes, Santafe/USA 1998 (in corso di stampa).

- M. Marazzi-S. Tusa, Vivara (isola di), Enciclopedia Arte Antica Classica e Orientale, Supplemento, Roma 1996, s.v. Vivara, "isola di"

- G. Matullo, Espedienti di computo e di memorizzazione senza scrittura nel Mediterraneo del II millennio a.C.: il caso Vivara, Diss. Fac. Lettere, Ist. Univ. Or. Napoli, 1998.

- C. Giardino, Tyrrhenian Italy and Sicily in the Protohistoric Metal Trade Across the Mediterranean: An Archaeometallurgical Outline, in: Bronze ‘96. L’atelier du bronzier: élaboration, transformation et consommation du bronze en Europe du Xxe au VIII siècle avant notre ère, Coll. Int. Dijon 1996, Paris 1998 (in stampa)

- C. Giardino (ed.), Culture marinare nel basso Tirreno nei secc. XVI-XV a.C., Atti Convegno Internazionale Napoli-Procida-Ischia 1992, Roma 1998.

 

Sulle navigazioni nel Mediterraneo durante la prima metà del II millennio a.C. si vedano inoltre gli scritti raccolti nei seguenti atti di congressi:

- M. Marazzi-S. Tusa-L. Vagnetti (edd.), Traffici micenei nel Mediterraneo. Problemi storici e documentazione archeologica, Atti Congr. Int. Palermo 1984, Taranto 1986.

- E. Acquaro-L. Godart-F. Mazza-D. Musti (edd.), Momenti precoloniali nel Mediterraneo antico, Atti Conv. Int. Roma 1985, Roma 1988.

- N.H. Gale (ed.), Bronze Age Trade in the Mediterranean, Papers Conf. Oxford 1989, Jonsered 1991.

- R. Laffineur-L. Basch (edd.), Thalassa. L’Egée préhistorique et la mer, Actes 3e Renc. égéenne internationale, Calvi 1990, Liège 1991.

- W.V. Davies-L. Schofield (edd.), Egypt, the Aegean and the Levant: Interconnections in the Second Millennium BC, Procc. Coll. British Museum 1992, London 1995.

 Home Page